Decima puntata della rubrica “Dual & Post Career”.
Il protagonista è Tommaso Marino, classe 1986, playmaker che nel campionato 2020/2021 militerà nello Scafati, in Serie A2.
Toscano di Siena, da giovanissimo ha fatto parte della Mens Sana che ha vinto lo Scudetto 2004.
Ha poi girato l’Italia della pallacanestro, giocando finora a Trapani, Porto Torres, Omegna, Teramo, Treviglio, Ostuni, Forlì, Casalpusterlengo, Siena e Ravenna.
È stato il primo ad affiancare il giocatore Bruno Cerella nel suo progetto “Slums Dunk”, che attraverso il basket si propone di offrire una vita migliore a persone svantaggiate che vivono in Africa.
Oltre a giocare a pallacanestro, Tommaso Marino è socio e cofounder “Zero Blasterfirm”, brand di abbigliamento streetwear.
Questa è la nostra intervista.
Tommaso, prima “Slums Dunk” e ora anche “Zero Blasterfirm”. Come fa un giocatore professionista a conciliare il gioco con altri progetti?
«Come giocatori professionisti abbiamo molto tempo libero. Naturalmente una parte di questo tempo è importante dedicarla al recupero fisico e mentale, ma spesso non ci accorgiamo di quanto tempo buttiamo via mettendoci in stand-by, aspettando il prossimo allenamento. Una cosa che ho imparato è sicuramente pianificare, scrivermi in un’agenda quello che devo fare: che sia “Slums Dunk” o “Zero”, mi aiuta tantissimo a non buttar via tempo durante la giornata».
Pensi che percorsi di studi tradizionali, come l’università, o non tradizionali, come i corsi online, possano essere utili per costruirsi le competenze legate ad un progetto extra basket come il tuo?
«Servono competenze, questo è certo. Gli studi sono importanti, fondamentali, ma non sempre noi giocatori siamo pronti ad intraprendere un percorso universitario a 20 anni, perché richiede un grande sforzo mentale e non sempre da giovani si è pronti a farlo, soprattutto se già si guadagnano cifre che ci fanno vivere tranquilli. Crescendo però, nel mio caso almeno, ho acquisito la consapevolezza che, senza una formazione adeguata, è impossibile intraprendere un percorso nuovo».
Quali sono le tue principali competenze che hai portato nel team di “Zero Blasterfirm” e come te le sei costruite?
«Ho sempre viaggiato tanto e ci ho investito soldi e tempo. Ho girato il mondo e conosciuto tante culture: dalle più ricche e conosciute fino a quelle dei villaggi africani sperduti, raccontando le mie esperienze nelle scuole, nelle università e nelle società di basket. Questo per me ha rappresentato una grande crescita personale. Nel mio brand porto ciò che ho imparato di marketing digitale e quello che grazie a “Slums Dunk” ho imparato sulla comunicazione. Ho studiato video-making, perché è una cosa che mi appassiona parecchio e poi ci metto la mia creatività. Il mio socio e io curiamo il 100% del processo, dal disegno del pantaloncino fino a quando arriva a casa di chi lo acquista».
Nel guidare “Zero Blasterfirm” quali sono i vantaggi e gli svantaggi derivanti dall’essere un giocatore?
«Essere un giocatore ti apre automaticamente le porte di un pubblico che, in caso contrario, si farebbe fatica a costruire. Il mio è un brand di streetwear, niente di più e niente di meno di quello che piace a me. Avere una “fan base” di ragazzi e ragazze che vive nel mio stesso mondo e parla la mia stessa lingua può essere un aiuto, inizialmente. Dall’altra parte c’è il pregiudizio continuo del giocatore che deve solo pensare a giocare, che tanto sa fare solo quello, che non deve e non può avere altri interessi. Questo non mi è mai piaciuto. Avere qualcosa oltre al basket, avere interessi, business alternativi è fondamentale: non solo per avere il classico “piano B”, ma soprattutto per staccare la mente dal pallone per alcune ore al giorno, scaricare la pressione e pensare che oltre al basket c’è altro che mi aiuta a non andare troppo giù nei momenti di down e continuare a prendermi cura delle mie cose».
Qual è il tuo sogno/obiettivo cestistico e lavorativo per il futuro?
«Vincere un campionato. Ho avuto una carriera perfetta. Perfetta perchè ho amato ogni singolo giorno in cui sono entrato in campo, mi sono divertito e ho ricordi straordinari nonostante non sia arrivato ai massimi livelli. Oggi, però, vincere mi manca e metterò tutte le mie forze per riuscirci. Extra basket voglio crescere con la onlus che ho creato 10 anni fa con Bruno Cerella, “Slums Dunk”, e mi piacerebbe ampliare le basketball academy che abbiamo per dare sempre più borse di studio e opportunità ai nostri ragazzi. Poi una cosa che abbiamo in testa è quella di girare un documentario su questi primi 10 anni di viaggi e progetti. Per quanto riguarda “Zero Blasterfirm”, mi piacerebbe diventasse un brand streetwear di riferimento per il basket e non solo e stiamo lavorando in quella direzione. Infine, c’è una cosa che mi piace molto fare: ho lavorato a Sky e DAZN come telecronista ed è un mondo che mi affascina tanto, come un po’ tutto quello della comunicazione: un’altra strada che, se ci sarà la possibilità, vorrò assolutamente percorrere».
In base alla tua esperienza, cosa ti senti di consigliare ad un giovane atleta che sta iniziando la carriera da cestista e cosa invece ad un collega coetaneo indeciso sul proprio post carriera?
«A un giovane atleta direi sicuramente di portare avanti il proprio “piano B” dall’inizio. Non per forza università o studi, ma qualcosa in cui crede, qualcosa che lo appassiona. Lo sport, senza accorgercene, ci dà la possibilità di conoscere tante persone, imparare tanto facendo poco e questo ci offre la possibilità di portare aventi business o interessi alternativi, con delle capacità che spesso non pensiamo nemmeno di avere. Se penso a un mio coetaneo, invece, dico che la prima cosa è scoprire chi si è fuori dal campo. Abbiamo ancora anni davanti che ci permettono di pensare al post carriera con calma, ma bisogna capire prima chi vogliamo essere nel mondo fuori, nel mondo vero. E secondo me noi siamo lo specchio di quello che ci piace, delle passioni che abbiamo. Io ho avuto la fortuna di scoprirlo presto, ma capisco che non per tutti sia così».
Dual & Post Career
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