Fabio Di Bella, playmaker classe 1978 di 186 cm, è partito dalla Serie D di Siziano, arrivando a giocare in Serie A e con la Nazionale Italiana, con la quale ha disputato il Campionato Mondiale 2006 in Giappone.
Il suo impegno e la sua determinazione sono, dunque, proverbiali. Da questa stagione, Di Bella è sceso in cadetteria per riavvicinarsi a casa e seguire un grande progetto: la scuola di basket “Here You Can”, fondata dallo scomparso padre Aldo.
Gli abbiamo fatto questa intervista, per conoscere meglio il progetto “Here You Can” e il suo pensiero su come fare a realizzare i propri sogni di giocatore, arrivando dalle minors alla massima serie e all’Azzurro. Eccola.
Fabio, la tua carriera cestistica continua in cadetteria. Come ti stai trovando, dopo tanti anni nelle due serie maggiori?
«Mi trovo bene, sono a casa. Ho deciso di tornare nella mia città, Pavia, dove tutto è iniziato, dopo molti anni passati in giro per l’Italia, perché è qui che voglio trascorrere gli ultimi anni di una carriera importante».
Dal tuo osservatorio e con la tua esperienza: ci sono giocatori che potrebbero fare il salto al piano di sopra?
«C’è sicuramente un divario sensibile che tra la B e le categorie sopra, ma è altrettanto vero che ci sono molti giocatori giovani, non solamente under, che possono ambire a fare un salto di livello. Questo campionato credo possa facilitare una loro crescita cestista, mettendoli in condizione di avere maggiori responsabilità e di conseguenza aumentare la fiducia nei propri mezzi».
Cosa manca per facilitare lo sdoganamento di qualche buon “giocatore di categoria” dalla B alla A, a tuo avviso?
«Non penso si possa parlare di “sdoganamento”, perché se un giocatore merita di salire di categoria prima o poi ci riesce. Parlerei del come poter salire ad un livello più alto. Ci vuole sacrificio, passare molto più tempo degli altri in palestra, aumentare il livello di attenzione e di esigenza personale. Spesso capita di “adeguarsi” e quindi rimanere un “giocatore di categoria”, col rimpianto di non averci provato fino in fondo. Tra le categorie la differenza la fanno il fisico, la tecnica, l’attenzione e i tempi di esecuzione. Sono tutti aspetti allenabili, che non c’entrano con l’aver talento o meno».
Oltre al campo, ti dedichi alla scuola fondata dal tuo compianto papà Aldo. Puoi fornirci qualche numero?
«La “Here You Can” è nata da un’idea di mio padre. Il basket mi ha dato tanto e questo è stato il mezzo per condividere ciò che ho ricevuto. È nata nell’ottobre del 2011 con una manciata di ragazzi, e ad oggi si è ingrandita a tal punto da poter contare circa 1.100 iscritti. Oltre ai numerosi centri minibasket – siamo presenti in circa 30 comuni, tra Pavia e Milano – abbiamo più di 20 squadre Under, un’area femminile e una di cheerleading».
Quali i progetti della “Here You Can” e dove è innervata territorialmente?
«La volontà è quella di poter diffondere la cultura cestistica a quante più persone possibile. Il nostro intento è fare in modo che la pallacanestro possa trovare la giusta collocazione nella vita dei nostri atleti. Non solo come futuri giocatori, ma che possa diventare una parte importante della loro vita essendo magari arbitri, allenatori, giornalisti, tifosi. Cerchiamo di allenare tenendo fede ai tre valori nostri: Entusiasmo, Determinazione e Umiltà. E abbiamo una sola regola: il Rispetto. Circa il territorio, la “Here You Can” si distingue perché non ha una collocazione territoriale specifica, ma comprende un’area vasta tra Milano sud, la provincia di Pavia e Pavia città. Tanti ragazzi, da paesi diversi, che appartengono tutti alla stessa scuola».
Tu e tua sorella Paola – nonostante lei viva fuori dall’Italia – come vi siete divisi i compiti per raccogliere l’eredità di tuo padre?
«Mia sorella è eccezionale. Da quando mio padre non c’è più, ha preso in mano la scuola e, grazie alla sua esperienza in marketing e comunicazione, da un momento estremamente difficile per tutti l’ha resa ancora più grande e solida. Io mi occupo dell’area tecnica, cercando di essere un punto di riferimento per tutti i nostri allenatori».
Di quanta gente si compone lo staff necessario a questa gestione?
«Ci sono circa 50 tra istruttori e allenatori, che sono divisi per area e responsabilità. Abbiamo chi si occupa di trovare sostenitori, chi della segreteria, chi di tutti gli aspetti pratici fondamentali a mantenere un alto profilo organizzativo. In più abbiamo una psicologa a disposizione dei ragazzi, famiglie e allenatori e molti altri che volontariamente danno un importante e fondamentale contributo».
Obiettivi per il futuro della scuola?
«Obiettivi futuri sono gli stessi di quelli presenti: voler diffondere la cultura cestistica nel territorio, cercando di elevare sempre più il livello qualitativo di quanto offerto. Al centro di tutto c’è il ragazzo e la sua famiglia. Cerchiamo, nonostante i grandi numeri, di andare in contro alle loro esigenze offrendo un servizio il più possibile personalizzato».
Chiudiamo con una riflessione sulla GIBA.
«La Giba è dalla parte dei giocatori, cerca di tutelarli e trovare le soluzioni più adatte alla loro vita sportiva. Purtroppo, spesso si trova di fronte a imposizioni e prese di posizione, ma non smette mai di lottare».
Memorial Aldo Di Bella 2017. Paola e Fabio Di Bella con il presidente della GIBA, Alessandro Marzoli.
GIBA – Giocatori Italiani Basket Associati