Seconda puntata della rubrica “Dual & Post Career”.
Il protagonista è Flavio Portaluppi.
Da atleta, con l’Olimpia Milano Flavio ha vinto 2 volte lo Scudetto, la Coppa Italia e la Coppa Korac. Con Castelletto Ticino ha invece ottenuto 2 promozioni in Serie A2.
Sempre da atleta, con l’Italia ha vinto la Medaglia d’Oro ai Campionati Europei Under 22 del 1992 e quella d’Argento ai Giochi del Mediterraneo 1997.
Da General Manager dell’Olimpia Milano – squadra della quale è stato anche Presidente – ha vinto uno Scudetto, mentre da dirigente della Vanoli Soresina ha ottenuto la promozione dalla A2 alla Serie A.
Questa è la nostra intervista.
Flavio, qual è la cosa che ti manca di più di quando eri giocatore?
«Nulla. Non vivo di rimpianti né enfatizzo il passato, vivo con grande impegno e piena soddisfazione il presente».
E la lezione più importante che hai imparato calcando i campi?
«Nessuno ti regala nulla. Se vuoi ottenere un risultato, devi combattere e impegnarti per provare a ottenerlo. Sul campo le chiacchiere stanno a zero, non è detto che le partite finiscano come da pronostico e l’attitudine che ci metti nel prepararti e nel giocarle può fare la differenza».
La vittoria più bella da giocatore?
«Lo Scudetto 1996. Finimmo quinti in regular season e ribaltammo il fattore campo a Varese, Bologna sponda Virtus e poi in finale contro la Fortitudo Bologna».
E quella da dirigente?
«La promozione in Serie A con la Vanoli al mio primo anno da dirigente e lo Scudetto con l’Olimpia Milano del 2014 contro la Mens Sana Siena. Il canestro di Jerrells all’ultimo possesso di gara 6, le emozioni, l’adrenalina di quella stagione sportiva sono state eccezionali e penso irripetibili».
Quando giocavi, pensavi mai al “dopo”?
«Ho iniziato a pensarci presto, quando ho interrotto i miei studi universitari e iniziato a seguire i corsi per diventare allenatore, anche se poi il destino e le ulteriori scelte mi hanno portato lontano dalla panchina».
Ti ricordi un compagno in particolare, che mentre era atleta già pianificava la sua carriera dopo il campo?
«Ricordo, al mio primo anno da professionista ad Arese, Jeff Maspero e Silvano Motta. Poi, a fine carriera da giocatore a Castelletto e Cremona, Andrea Sales e Stefano Leva. È una figura molto rara, perché troppo spesso i giocatori sono concentrati solo sulla loro carriera sportiva, che è sicuramente molto coinvolgente e canalizzante, ma che purtroppo ha una durata limitata e limitante. Per questo la GIBA fa bene a sensibilizzare i suoi iscritti, in merito all’importanza di pensare sia al post sia al dual career».
Hai vinto sia da giocatore sia da dirigente: i valori per arrivare in vetta sono gli stessi sia in campo sia fuori?
«Gli ex giocatori hanno una sensibilità attenta e spiccata nella gestione delle dinamiche di squadra, rispetto a chi non ha mai avuto la fortuna e la possibilità di vivere il campo. È altresì vero, però, che chi non ha mai giocato ha una determinazione e un’ambizione più forte. Io sono rimasto uguale a me stesso nel pormi: con i pregi e i difetti che mi caratterizzano».
Cosa fa, oggi, Flavio Portaluppi?
«L’imprenditore. Ho temporaneamente interrotto la carriera da dirigente, per intraprendere questa nuova avventura in cui credo e confido molto. Lo sport dà delle sensazioni grandiose, ma senza una maggior attenzione agli aspetti legati al business temo che sarà destinato a tornare a essere un’attività totalmente dilettantistica. Quindi, io cerco di aiutare le società sportive ad aumentare i ricavi e creare un circolo virtuoso che permetta di riproporre la progettualità, gli investimenti e la professionalità che si stanno perdendo, a causa della minor disponibilità di risorse».
Quanto ti ha aiutato il tuo bagaglio di ex giocatore e dirigente, nel lavoro che fai oggi?
«Molto. Sia per la conoscenza del business che sto provando a far crescere, sia nei rapporti interpersonali perché credo di essere capace di fare squadra, condividendo obiettivi e percorsi».
Il tuo consiglio ai giovani giocatori, riguardo la necessità di organizzare il futuro fuori dal campo?
«Curiosità e passione. La curiosità ti permette di poter approfondire conoscere e apprezzare tematiche e argomenti che in futuro potrebbero tornarti utili e che comunque creano bagaglio di conoscenza, la passione è un elemento imprescindibile per farti sentire pienamente coinvolto dal progetto e dalle prospettive. L’ultimo passo, quello più importante, è riuscire a trasformare curiosità e passione in professionalità. Quindi, in estrema sintesi: trovare un progetto che appassioni e avere sempre la mente aperta per cogliere segnali, intuizioni e prospettive».
Il tuo consiglio ai giocatori che stanno per smettere, per trovare senza traumi qualcosa che li appaghi?
«Non vivere il passato con rimpianto ma come una bella parentesi, essere curiosi, trovare dentro di sé un progetto coinvolgente, non essere spaventati dalle nuove sfide ma nel contempo muoversi con grande cautela e con attenzione, valutando bene prospettive, progetti e futuribilità. Il mondo del lavoro fuori dalla pallacanestro è molto diverso: approcciarlo con la giusta umiltà e la consapevolezza della diversità, penso sia un modo coerente e corretto di affrontare una nuova sfida».
GIBA – Giocatori Italiani Basket Associati