Ventesima puntata della rubrica “Dual & Post Career”.
Il protagonista è Matteo Soragna, classe 1975, ex giocatore e oggi telecronista sportivo e collaboratore del sito La Giornata Tipo.
Matteo, nativo di Mantova, dopo l’allora B1 a Cremona dal 1993 al 1996 fa il suo esordio in Serie A con Pistoia, per poi tornare in B1 a Barcellona Pozzo di Gotto, conquistando la promozione in A2.
Dalla A2 alla A1 con Biella, dove gioca dal 2000 al 2004 e diventa capitano della squadra. Dal Piemonte al Veneto, ingaggiato da Treviso, dove resta dal 2004 al 2009 giocando l’Eurolega e vincendo lo Scudetto nel 2006 (da capitano), la Coppa Italia nel 2005 e nel 2007 e la Supercoppa Italiana nel 2006.
Dopo Treviso, il ritorno a Biella e la militanza a Capo d’Orlando e Piacenza.
Con l’Italia l’esordio avviene nel 2001. Con gli Azzurri, Soragna conquista la Medaglia di Bronzo agli Europei di Svezia del 2003 e la storica Medaglia d’Argento alle Olimpiadi di Atene del 2004.
Questa è la nostra intervista.
Matteo, in campo eri un’ala piccola che poteva fare il playmaker. La poliedricità è una dote naturale o può essere allenata?
«La cosa meravigliosa del nostro corpo e della nostra mente è che si può migliorare in tutto. Basta avere il desiderio necessario per lavorare più degli altri e di avere in testa dove si vuole arrivare e cosa serve per arrivarci».
Hai esordito con la Nazionale maggiore non più giovanissimo, a 26 anni: è l’età giusta per godersi appieno il traguardo di vestire l’Azzurro?
«Mi sarebbe piaciuto esordire in Nazionale molto prima ma, onestamente, non ero pronto. Ogni età è adatta per godersi l’emozione di indossare la maglia azzurra, un traguardo che per qualsiasi atleta rappresenta l’eccellenza e il livello massimo a cui aspirare. Ancora oggi, quando prendo in mano le maglie che ho vestito nelle varie competizioni, sono avvolto da sensazioni e ricordi indelebili».
Quando ripensi all’Argento vinto alle Olimpiadi di Atene 2004, qual è il sentimento dominante?
«Stupore e immenso orgoglio. Solo far parte di una manifestazione dove ci sono tutti i migliori atleti del mondo è sufficiente per sentirsi realizzati, tornare a casa con una medaglia è andato oltre ogni singolo sogno».
A Treviso hai vinto Scudetto, Supercoppa e 2 volte la Coppa Italia: il ricordo più bello della tua esperienza nella Marca Trevigiana?
«Aver avuto la possibilità di giocare per una società che era un riferimento in tutto il mondo, essere stato allenato dai migliori allenatori che ci siano stati in Europa e aver avuto l’occasione di giocare per vincere qualche trofeo. Inoltre, la soddisfazione di giocare con compagni di squadra che mi hanno migliorato e che sono stati compagni di viaggio fantastici».
Umanamente parlando, qual è il compagno di squadra dal quale pensi di aver imparato di più e perché?
«Vado molto indietro nel tempo, ai tempi di Cremona quando ero un ragazzino di sedici anni. Mi sono affidato ai veterani di quella squadra che mi hanno insegnato prima di tutto a stare al mondo (nel mondo dello sport) e poi ad avere il giusto atteggiamento».
E invece il compagno che, tecnicamente e tatticamente parlando, hai trovato di grande ispirazione?
«Alla mia prima esperienza in Serie A, con Pistoia, ho giocato con Claudio Crippa. Da lui ho imparato tanto nella comprensione del gioco e nella velocità di pensiero».
Quando giocavi, pensavi a cosa fare una volta appese le scarpe al chiodo?
«Ero convinto che avrei fatto l’allenatore, poi una volta preso il patentino ho capito che non è quello che voglio fare, per lo meno adesso, in questo periodo storico. Poi quando vedevo ex giocatori che facevano la spalla tecnica, durante le telecronache, pensavo che sarebbe stato divertente… e in effetti lo è».
Quali sono le qualità che avevi in campo e che più ti servono adesso, nel tuo lavoro di telecronista e commentatore?
«Mi piaceva molto imparare da quelli più bravi di me ed è lo stesso atteggiamento che ho adesso con i miei colleghi in redazione. Sono professionisti super competenti e appena posso chiedo e mi faccio dire dove posso migliorare».
Fai parte dello staff della seguitissima Giornata Tipo. A tuo avviso, quali sono gli elementi che ne hanno decretato il successo?
«Raffaele Ferraro (il fondatore, n.d.r.) ha iniziato per gioco, ha un talento enorme nell’associare le idee e nel creare contenuti. Nel tempo la pagina è evoluta: prima era solo ironica, ora è una piattaforma di riferimento anche per la qualità dei contenuti che offre. Il gruppo della Giornata Tipo è prima di tutto un gruppo di amici appassionatissimi di basket».
Un tuo pensiero sulla GIBA e sul suo operato?
«Nel corso degli anni si è sempre più strutturata, facendosi sentire più vicina agli atleti e offrendo assistenza di alto livello anche per il post carriera, aspetto molto importante. È fondamentale, a maggior ragione in questo momento non semplice per lo sport italiano dal punto di vista dei mezzi a disposizione, che la GIBA sia un elemento decisionale e propositivo per tutto il movimento.
GIBA – Giocatori Italiani Basket Associati