Sul quotidiano “Tuttosport” di domenica 6 novembre 2016, interessante intervista di Piero Guerrini a Peppe Poeta, capitano del Torino.
Il giorno dopo la pubblicazione sul giornale, la rilanciamo integralmente invitandovi a leggerla.
POETA
«Qui 4 anni e smetto»
«Non voglio trascinarmi. Prima punto a vincere qualcosa. I club di A investano sugli italiani, altro che sette stranieri»
Il capitano italiano è ormai il simbolo del nuovo corso. Sempre presente agli eventi, senza timore di inflazionare la sua immagine, Peppe Poeta è l’anima del nuovo corso Auxilium. Normale sentirlo alla vigilia dell’”Appuntamento”. Con Milano: «L’Armani ha costruito una squadra tale da non doversi preoccupare del campionato italiano. Ha pure tolto pezzi alle altre avversarie. Può schierare più quintetti diversi, tutti da primo posto. E l’Eurolega è di altro livello».
Poeta, visto lo strapotere delle elette d’Eurolega, sarebbe meglio far entrare in ogni Paese le big solo ai Playoff?
«No, il campionato italiano perderebbe fascino. E si toglierebbe ai tifosi avversari un’opportunità di spettacolo e il sogno di battere Milano. L’anno scorso con Trento abbiamo buttato fuori l’Olimpia dall’Eurocup e ricordo le sensazioni. Anche noi cercheremo di batterli, consapevoli che sarebbe un’impresa notevole».
Le sensazioni dopo Brindisi?
«Dobbiamo crescere nella costanza di rendimento. Da una parte è importante e bellissimo scoprire le potenzialità del gruppo. Dall’altra è necessario durare più di 25 minuti».
Peppe Poeta a 31 anni cosa ama fare?
«Giocare a basket. Mi sorprende sempre aver reso la mia passione un lavoro. Che non è lavoro, ma privilegio. Poi amo viaggiare. Una volta smesso potrò concedermi di visitare i posti che mi incuriosiscono. Ad esempio l’Australia e soprattutto il Sudafrica. E sono curioso, mi piace conoscere le persone, ascoltare».
Ray Allen per annunciare il ritiro ha scritto una lettera a se stesso tredicenne. Un’immagine di Poeta a quell’età?
«Posto che la lettera è bellissima e dovrebbe essere letta da ogni ragazzo, io a 13 anni ero su un pullman per tornare a Battipaglia, a casa, ogni giorno. Con gli stessi principi che ho adesso. Scriverei a Poeta di continuare a vivere il proprio sogno, senza mollare mai».
Un difetto che non sopporta nelle persone…
«L’ipocrisia, odio gli ipocriti».
Cosa le manca, a 31 anni?
«Vorrei vincere qualcosa, sarebbe la ciliegina. Vorrei aspettarmi l’inaspettato. E poi avere un famiglia, diventare papà. Per il resto sono contentissimo. Ho tutto, di più».
Un suo difetto e un pregio.
«Sono davvero poco paziente. Ma sono pure un inguaribile ottimista».
Un ringraziamento particolare…
«A papà Franco e mamma Lucia. Io sono quello che loro hanno costruito. Fino a 18 anni sono rimasto a casa. Poi mi ha portato lontano il basket, ma quella è la mia dimensione. Come per mia sorella Manuela, maestra a Teramo, dov’era venuta a trovarmi, s’è fidanzata e sposata».
Le sue sliding doors…
«La partita di Forlì, accese i riflettori. Poi aver scelto di andare in A1 quando avevo molte offerte interessanti dalla A2. Ma la prima porta girevole imboccata è la più importante: a 12 anni avevo un problema alla spalla che mi ha sempre fatto dannare. Il dottore mi disse di praticare canoa. Mi sono impuntato, il basket e stop. Rimpianti zero. Col senno di poi forse avrei dovuto accettare l’offerta di Milano. Ma non sarei andato a Bologna, diventata la mia casa».
Quando nasce l’altra passione, per il calcio e la Juventus?
«A 6 anni e tutto da solo, perché mio papà tifava Bologna, mio nonno Inter. Il grande amore esplode poi nel 1995/96. Del resto quando sei un bambino ti appassioni a ciò che ti fa sognare e per noi ragazzi del Sud è difficile trovare una squadra locale. Certo, tifo Salernitana e dunque per la rivalità non avrei mai potuto seguire il Napoli».
Possibile che l’Italia non riesca più a produrre playmaker?
«Qualche giovane c’è e comunque Daniel Hackett è uno dei più forti in Europa. Molto meglio del croato Ukic. Serve tempo per costruire un vero playmaker, ci vogliono esperienza, leadership, fiducia. E qui manca un po’ il coraggio a lanciare i ragazzi. Ricordo anche di aver affrontato uno Sloukas 18enne che aveva già spazio all’Olympiacos».
Dunque?
«Bisogna ripartire dai settori giovanili, strutturati, puntando sugli istruttori. Ricordo che alla Virtus andavo a vedere gli allenamenti fatti da Consolini e Sanguettoli perché interessantissimi. E bisogna ripartire dal basket nelle scuole e nei campetti».
Ma le società vogliono 7 stranieri.
«Scelta allucinante. Bisogna avere la consapevolezza di dove sta andando il movimento. Manca orgoglio. È normale che un 22enne uscito dal college sia più pronto di un ragazzo uscito dalle giovanili. Si sceglie la via facile, poi tutti si lamentano».
Da quando è a Torino, tutti le chiedono come si trova. Non è stufo?
«No, perché quanto Torino sia bella e ricca di offerte è sotto gli occhi di tutti. Vorrei restare più del mio attuale contratto, magari 4 anni come a Teramo e Bologna. Oltre non vado perché sono orgoglioso e non voglio trascinarmi per il campo».
GIBA – Giocatori Italiani Basket Associati